giovedì 15 ottobre 2009

Perle ai porci


Uno dei nostri maggiori gestori di telefonia mobile offre, tra le sue tariffe dedicate ai più giovani quella denominata “tribù”, termine che non casualmente compare in una delle due citazioni ex ergo che aprono il volume Perle ai porci, Rizzoli 24/7 di Gianmarco Perboni. E’ di Filippo Scozzari e recita così: ”I Ragazzini della tribù Feh-rocja, quando cominciano a rompere troppo i coglioni, che colà sono sacri, vengono spediti sulla montagna Cannibala; quando tornano, se tornano, sono un modello di educazione e compitezza.” La tribù di cui si occupa Perboni, pseudonimo deamicisiano scelto da un insegnante reale con ventennale esperienza, è quella degli stolidi studenti italiani di scuola superiore, raccontata attraverso un diario esilarante ed amaro, redatto dalla cattedra di un istituto tecnico. In antropologia la definizione di tribù ci parla di un raggruppamento umano in possesso di una relativa omogeneità culturale e linguistica e dunque gli studenti qui ritratti non arrivano neanche a questa seppur primitiva organizzazione sociale. Un’anno lungo un’Odissea attraverso le nefandezze di una generazione “…scoraggiante, irrecuperabile, bovinamente supina.” Nomi inventati (e spassosissimi) e fatti reali. Un quadro terribile (ahimè autentico) della scuola italiana, nella quale gli insegnanti contano quanto il due di picche (Perboni usa una metafora più puzzolente) e il concetto di responsabilità individuale sembra perduto per sempre. Così “…la colpa del fancazzismo dello studente è nell’ordine: del professore, della famiglia ,della scuola. L’idea che possa trattarsi semplicemente di buona, sana, vecchia mancanza di voglia di studiare – che per generazioni è stata curata con una buona ,sana ,vecchia bocciatura, non sfiora nessuno.” Parole sante. Di fronte a questa realtà secondo lo scoglionatissimo Perboni c’è una sola via d’uscita: il professore diventa una carogna, disilluso, stanco di “…lottare contro i mulini a vento…” , un uomo che “…vive alla giornata contento se qualche sprovveduto ha deciso di rischiare la pelle portando in gita una classe degna del riformatorio, lasciandogli un’ora libera per leggere il giornale.” Nel susseguirsi dei capitoli egli si imbatte ciclicamente anche nei problemi della scuola che si ostina a non voler trattare, ma da cui non può astenersi del tutto di parlare e così ci mostra la sua abilità nel redigere in “didattichese” (una prosa forbita ed assolutamente priva di senso), documenti che rappresentano la pura e semplice insignificanza linguistica: dialettiche interculturali, offerte formative, strategie esplicitate, strumenti di verifica, attività di rimozione delle resistenze e via così da un non sense all’altro. Si ride molto scorrendo le pagine di Perle ai porci. E si riflette anche. Bella penna Giorgio Perboni.
Eppure andando avanti nella lettura un dubbio sorge: una certa propensione alla malvagità forse Perboni la possedeva in origine. L’insegnante missionario infatti, una delle tipologie umane di cui il nostro narra il naufragio, ci ricorda un dato di fatto: l’insegnamento è una missione, una vocazione la cui chiamata forse non è mai giunta all’indirizzo dell’autore. E individuare nel sessantotto la nascita della tragedia (non quella nicciana) che ha travolto la nostra scuola , ha senso soltanto intesa all’inverso di ciò che Perboni sostiene. Non è la reazione a quel movimento che ha portato la scuola nelle condizioni disastrate di oggi ma proprio l’affermarsi di quelle istanze pseudorivoluzionarie. Ed il sei a tutti costi di cui Perboni lamenta la richiesta da parte degli studenti odierni è soltanto la degenerazione di quel tristo “18 politico” creato da quei “formidabili” anni di capanniana memoria. Come fa il nostro deamicisiano professore a prendersela con cinquant’anni di scudo crociato quando da almeno quaranta (dal sessantotto appunto) l’istruzione e la cultura di questo paese sono state saldamente in mano alla parte politica (left oriented) da cui egli stesso proviene? Forse una buona, sana, vecchia autocritica non farebbe male anche a lui.

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