lunedì 14 settembre 2009

Karajan vent'anni dopo

C’era un tempo in cui la musica era con Dio. Era una stagione , nella quale l’arte non si poneva in opposizione (se non dialettica) ai valori morali condivisi dal consesso civile, e non era quindi costretta a cantare unicamente l’angoscia. Questo era stata la musica occidentale dal XVI secolo sino all’alba del novecento, il momento della grande frattura. Da arte ancella, della poesia, della danza , del teatro, a linguaggio autonomo, di pari dignità , perfino in grado di raggiungere zone dell’animo, precluse alle altre. All’ arte direttoriale fu necessario un altro mezzo secolo , a far decantare quel materiale immateriale costituito dall ’immenso patrimonio musicale lasciatoci dai geni che il buon Dio disseminava sulla terra in epoche antiche (nel 1685 ne nacquero addirittura due , Handel e Bach, buona annata). Quella stagione estiva è passata e ora che l’inverno del nostro scontento (musicale) fa sentire il suo morso , avvertiamo quanto ci manca Herbert von Karajan. Venti anni senza di lui , il sedici luglio del 1989 Das Wunder Karajan (questo il primo grande titolo di giornale che nel 1938 ne salutò il debutto) terminava il suo passaggio su questa terra per trasferire la sua anima altrove, laddove secondo lui stesso (ed io gli do ragione) proviene quella musica che per tutta la sua vita (pur con qualche indulgenza verso il culto di se stesso) aveva fedelmente servito. “Mi sembra che la musica venga da un altro mondo.” “Hai ragione , viene da un altro mondo, viene dall’eternità. Così il maestro nato a Salisburgo l’otto di aprile del 1908 in un dialogo con Harry Osborne , suo biografo ufficiale, in un libro di conversazioni precedente al “vangelo” dei karajaniani : Herbert von Karajan A life in music , biografia esaustiva ed appassionata mai tradotta in italiano (ma non c’è da stupirsi essendo la Italia la pubblicazione musicale vicina allo zero). Ma il libro è del 98 dunque nove anni anni dopo la scomparsa , mentre come spesso accade ai grandi, quella morte e ciò che essa ha significato per la tradizione musicale non fu immediatamente compreso. Egli si è detto, con la sua morte chiudeva un epoca aurea . Ma con la sua vita ne aveva aperta un’altra. La nostra .Oggi, nel 2009, la figura di Karajan appare come la summa di 500 anni di musica occidentale pur contenendo già in sè , l’intuizione geniale delle nuove prospettive mediatiche, tecnologiche, che si aprivano allora e di cui oggi tutti si cibano avidamente. In questo fu un genio con cinquant’anni di anticipo. E non solo per l’attenzione alle tecnologie discografiche , ma per quella volontà di ricerca che, seppur tendendovi , esulava dal campo prettamente musicale e che, ad esempio, si manifestò al momento della scelta dei progetti presentati alla gara indetta per la costruzione della nuova sala dei Berliner Philarmoniker nel 1956. Hans Scharoun , genio di quell’architettura organica che ebbe in Frank Lloyd Wright il suo maggiore esponente, attraverso quella sala con l’orchestra posta al centro indicò una via che avrebbe fatto scuola. Karajan lo capì . Ecco cosa scriveva :” …di tutti i progetti presentati, uno sembra ergersi sopra gli altri… per molti aspetti ma il più impressionante è la concentrazione totale degli ascoltatori sull’evento musicale…lo stile musicale dei Berliner Philarmoniker , la cui caratteristica principale è il respiro speciale all’inizio ed alla fine della frase musicale…”
Il respiro, questo era il lirismo di Karajan, il suo canto era naturale come il respiro. Il suo gesto direttoriale rimane a tutt’oggi come un unico ed irripetibile miracolo così come il suono che quel gesto faceva sortire. Cos’hanno di speciale gli attacchi di Karajan? Con lui la musica non iniziava, non si aveva la sensazione che qualcuno cominciasse a suonare, piuttosto l’impressione era quella di un suono già esistente che improvvisamente veniva a noi, ci si rivelava. E’ ciò che durante una prova Carlos Kleiber (suo devoto ammiratore per tutta la vita) cerca di far intendere all’orchestra dicendo ai violini:” Lasciate che sia il vostro vicino a cominciare”. Quel lirismo che ha in Wagner e Strauss i suoi autori di riferimento: semplicemente prima di lui nessuno li suonava così e dopo di lui tutti ci hanno provato. Ma anche Beethoven, Brahms Bruckner . Inoltre egli uscì dal germanesimo che pure lo aveva generato per rivolgersi all’opera italiana, con risultati non meno che eccelsi, il suo Verdi o il suo Puccini (per me Otello e Boheme su tutti) restano ad imperitura memoria insuperati ancora oggi. Una curiosità poi è legata ad una delle sue incisioni più memorabili, la Carmen di Georges Bizet con una ipnotica Leontyne Price. Durante la registrazione del disco giunse la notizia dell’assassinio del presidente Kennedy e la Price, statunitense e nera ne fu così turbata che il produttore voleva concedere un paio di giorni di pausa alla sessione d’incisione. Karajan riuscì a convincere la Price che cantò così la famosa scena delle carte (in cui pesca la morte) poche ore dopo la notizia. Il risultato è sconvolgente. Questo cinismo seppur volto a scopi sempre musicali è fatto della stessa materia di cui parla Isaiah Berlin che lo definì “Un genio con una spruzzata di zolfo intorno” , riferendosi alla sua appartenenza al partito nazista fino al 1945, ma Karajan pur di dirigere avrebbe preso anche la tessera dell’inferno . D’altra parte sposò un’ebrea nel 1942, Anita Gueterman, segno evidente che di ideologico in quella adesione ci fu poco. La politica del resto non entrò mai nella sua vita la quale fu volta esclusivamente alla musica, nella sua totalità.
“La pasta, la pasta di cui era fatto quel suono che i Berliner avevano raggiunto con lui non c’è più e non solo nei Berliner ma da nessun altra parte al mondo. “ Questo mi racconta Umberto Nicoletti Altimari, della direzione artistica dell’Accademia di S. Cecilia nonché vera autorità italiana sul pianeta Karajan . “Cosa ho di lui? E’ Semplice. Tutto. “ Se volete saper qualcosa su Karajan chiedete a quest’uomo la cui devozione al Maestro (posso dirlo vantando un’amicizia quarantennale) è stata una malattia cronica e manifestatasi in giovanissima età. “ Michel Glotz , un uomo che dedicò parte della sua vita a Karajan, lo definì cosiì “Un bambino ed un vecchio cinese molto saggio questa era la straordinaria combinazione che fu Herbert von Karajan“.
In anni in cui non si parlava ancora di civiltà dell’immagine lui costruiva la propria. Quella di un perfezionist a in tutto ciò che faceva. Da qui anche un’iconografia che può far sorridere, pilota d’aereo, di macchine da corsa, sciatore, al timone del suo Yacht Helisara ( Herbert, Eliette, Isabel, Arabel ), sì che ci si chiedeva dove trovasse il tempo di dedicarsi a tutte queste attività un uomo che fu contemporaneamente direttore dei Berliner, della Wiener Staatsoper nello stesso anno in cui allestiva al Teatro alla Scala altre due grandi produzioni . E’ di quegli anni questa storiella: Karajan sale su un taxi, il tassista:” Dove la porto?” “ Karajan:” Mi porti dove vuole tanto mi vogliono tutti.”



domenica 13 settembre 2009

Benedetto Croce e l'onestà politica

Ho sempre provato istintivamente fastidio nel sentir parlare dei fatti intimi che legano uomini e donne, non ho mai sopportato quegli amici che ti raccontano nei dettagli le loro avventure erotiche:” Allora …lei era piegata vicino al divano e io l’ho baciata da dietro…” Grazie basta. Affari tuoi. Affari miei. Il sesso è bello praticarlo, disgustoso è parlarne. Da mesi quindi salto allegramente pagine e pagine di quotidiani zeppi di rivelazioni (false o vere che siano non importa) nauseanti. Ho più tempo da dedicare alla lettura e così mi sono andato a rivedere un volumetto che mi ha fatto sentire in buona compagnia. “Un'altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa dell’ “onestà” nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli …è quello di una sorta d’aeropago, composto da onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese." Così Benedetto Croce in "Etica e politica" dissertava già nel 1920 su quella che se allora era “petulante richiesta” oggi è diventata il nucleo centrale dell’azione delle forze politiche che nel nostro paese fanno l’opposizione ed ora anche della parte avversa. E ancora argomentava: ” E’ strano che, laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano purchè abili in medicina e chirurgia,…nelle cose della politica si chiedano invece non uomini politici ma onest’uomini…”. E subito dopo il nostro filosofo si interroga su cosa debba intendersi per “onestà politica” , che secondo lui è soltanto la capacità politica, così come l’onestà di un medico è la capacità di curare il proprio paziente ed eventualmente salvargli la vita. Ma non basta. Alla domanda se debba essere l’uomo politico, sotto ogni aspetto, incensurabile e stimabile e ancora se possa la politica stessa essere esercitata da uomini in altri campi poco pregevoli , Croce risponde: ” Obiezione volgare , di quel tale volgo descritto di sopra. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo renderanno improprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo padre, e simili…”. Racconta poi, il filosofo napoletano del caso di Charles Fox , primo ministro inglese nei primi del secolo, che da uomo dissoluto e crapulone, diventato poi politico e ministro, cercò di cambiar vita adeguandola ad un senso morale più consono alle proprie responsabilità. Ma gli esiti non furono quelli sperati. “…ed ecco che sentì illanguidirsi la vena, infiacchirsi l’energia lottatrice,e non ritrovò quelle forze se non quando tornò alle sue consuetudini.”
Ma è il finale del capitolo che è impressionante chè pare scritto ieri : ” Vero è che questa disarmonia tra vita propriamente politica e la restante vita pratica non può spingersi tropp’oltre perché se non altro, la cattiva reputazione prodotta dalla seconda, rioperando sulla prima le frappone poi ostacoli…o l’ipocrisia degli avversari può valersene come arma avvelenata… ma questo è un altro discorso.” Invece pare proprio il nostro.

Guida alle messe

Ho fatto la prima comunione a quarantatre anni. Il mio parroco, Don Raffaele Ruocco, a S.Giacomo in Augusta, mi disse una volta che a chi si comunica tutti i giorni, nella propria parrocchia, capita quando lo fa in un’altra chiesa di aver la sensazione di mangiare al ristorante. Ed infatti Camillo Langone, autore di questo imperdibile volumetto, Guida alle Messe edito da Mondadori, scrive nella sua mirata poliedricità, di enogastronomia, letteratura e religione. Le sue recensioni pubblicate su Il Foglio sono ora raccolte in questo libro, concepito come una guida gastronomica con le chiese d’Italia in luogo dei ristoranti. Al posto delle forchette e dei bicchieri troviamo candele e messali, da uno a cinque. Le prime valutano l’arredo della chiesa mentre i secondi servono a giudicare la qualità della messa. Sì perché secondo Langone pensare che le messe siano tutte uguali è concesso solo a chi l’ultima volta che ci è andato aveva quattordici anni, ovvero a chi da quattordici anni frequenta la stessa parrocchia. Io aggiungerei (ahimè) che la pensano così l’ottanta per cento di quelli che semplicemente hanno quattordici anni. A me che da soli sette, capita di frequentare chiese a scopo devozionale ed ovunque vada ne cerco (e trovo), la lettura di Guida alle Messe è apparsa dalle prime pagine come apocalittica. Il nutrimento che si cerca a messa è destinato all’anima ed il giudizio concerne luoghi e le modalità in cui questo viene offerto. Che sono spesso inadeguati quando non decisamente impropri. Il libro è articolato in capitoli succulenti: Umano(troppo umano?); Eterni anni settanta (chitarre e tamburelli); Mediatiche(chiese al plasma); si va dal Trentino Alto Adige alla Sicilia, dissertando di storia dell’arte, poesia, architettura e misticismo con un umorismo freddo ma irresistibile che è davvero la ciliegina sulla torta. Una su tutte. San Giovanni Rotondo, chiesa di San Pio da Pietralcina. Voto 1 candela e 2 messali: ” Tre ragazze, comodamente sedute sulle panche dell’immane edificio, impiegano il tempo della messa per darsi lo smalto alle unghie. Anche i frati cappuccini si stavano dando lo smalto alle unghie quando hanno accettato il progetto di Renzo Piano, col Santissimo emarginato e minimalista (quindi non cattolico) e le panche prive di inginocchiatoi. I fedeli che si inginocchiano sono costretti a farlo per terra: Dio li vede e li salverà in virtù di questo gesto nello stesso giorno del giudizio in cui manderà all’inferno l’architetto e i frati.” Chapeau. Vengono in mente Roald Dahl, Alan Bennet, ed invece stiamo parlando di un critico italiano che con assoluta competenza ed una certa dose di dolore discorre dei riti della Chiesa Cattolica. Il dolore nel trovarsi davanti a candele finte, acquasantiere vuote, sedie (di plastica) in luogo di panche con inginocchiatoi e tante altre offese alla liturgia ed al buon gusto. Ma le annotazioni di Langone non sono soltanto liturgiche e scopriamo per esempio, nel capitolo Eterni anni settanta che a Maiori (Amalfi) , chiesa di Santa Maria a Mare, voto 3 candele e 2 messali, “ Ogni brano inizia con accordi di chitarra somigliantissimi alla battistiana Canzone del sole. Tornano in mente le pomiciate in spiaggia poi però entra il coro, si battono le mani e la macchina del tempo deposita i presenti dalle parti di Hair. ….E’ molto hippy cantare il Padre Nostro cambiandone le parole per seguire la musica, tenendosi la mano per entrare tutti insieme nell’Età dell’Acquario. Alla consacrazione non si inginocchia quasi nessuno. Ovvio: non ci si inginocchia ai musical. …Alla predica il prete si trasforma nel James Brown del film The Blues Brothers: scende dal presbiterio ed impugnando il microfono corre da tutte le parti, parla coi bambini…Fin quando Don Brown non riemerge gridando:” Son tornate le guerre sante! Noi stiamo uccidendo in nome di Dio!” Come parli, prete? In nome di Dio noi cristiani non stiamo uccidendo. Siamo uccisi.” Dio ti benedica, Camillo Langone. Una voce nel deserto, una risposta al mio peregrinare per chiese ascoltando schitarrate e triccheballacche di fronte a un altare alle cui spalle magari, intristivano mute, le canne di un bell’organo seiecentesco. Segnalo anche all’autore la chiesa di S.Andrea a Castiglioncello in Toscana, dove nell’omelia della messa pasquale ho ascoltato il prete snocciolare perle quali: “…un Dio che non se la tira!” Oppure: “…questo Gesù burattino “. Da neoconvertito mi chiedevo come fosse possibile che nessuno dicesse qualcosa. Ora qualcuno lo ha fatto .
Ma fortunatamente pur nell’italica approssimazione di fedeli che non si inginocchiano , che prendono l’Ostia “…con le zampacce.” O addirittura “ …si servono da soli a buffet” ci sono anche tanti luoghi dove incontrare Gesù è possibile , per esempio a Montalcino : “Non conosce il culto divino chi non è mai stato a S. Antimo….sette frati adoranti che spingono ad adorare: qui nessuno si sogna di non inginocchiarsi. Predica esemplare, breve, aderente al vangelo, bellissima, che ci trasforma tutti in Re Magi alla ricerca di una madre e di un bambino.” Questo libro è un intervento importante che dovrebbe avere un qualche riscontro istituzionale dalla Chiesa e che ci pone dinanzi implicitamente, anche le responsabilità politiche della diseducazione religiosa. Infatti se Langone lamenta una scarsa attenzione ( ignoranza) tra coloro che le messe le celebrano e le ascoltano, la situazione ( ancora l’ignoranza) in chi si professa non credente va molto oltre, anche tra persone di livello culturale non infimo. Non saper nulla di religione del resto rientra nei diritti del cittadino. Quando negli anni ottanta (1985) , con l’acquiescenza della santa sede, passò la sciagurata legge che rendeva facoltativo l’insegnamento della religione nella scuola italiana, tra le molte voci che si levarono in favore di tale iattura, vi fu quella di Umberto Eco nella sua rubrica sull’Espresso: “…se l’insegnamento della religione si identifica con il catechismo cattolico allora è nello spirito della Costituzione che sia facoltativo.” Fedele d’Amico sullo stesso giornale gli rispose: “Nello spirito, anzi nella lettera della Costituzione è che sia facoltativo praticare una religione piuttosto che un’altra o non praticarne affatto, non che lo sia l’ignoranza della religione…. La dottrina cattolica è storicamente alle basi immediate della “nostra” storia culturale , italiana ed europea, che fino a ieri si è tutta svolta in rapporto con essa, concorde o discorde fa lo stesso (come spiegare chi erano gli Ugonotti, o Lutero, a chi di dottrina cattolica non sappia nulla?).” Parole sante, con rispetto parlando. Certo oggi la nostra è una società multireligiosa ma a maggior ragione dovremmo essere più informati sull’argomento. Come possiamo pretendere di rispettare le altrui radici quando non conosciamo neanche le nostre? E non si tratta di essere credenti o meno ma ignoranti o no. Ecco perché Guida alle messe è un libro che andrebbe letto nelle scuole (dopo avervi ripristinato l’insegnamento della religione) dove invece oggi, ragazzini privati di quel nutrimento, quel cibo per l’anima che solo la religione è in grado di offrire, cercano in surrogati fatti di maghi e maghetti , sette sataniche e religioni new age, omeopatia e droghe varie, quella speranza di uscire dal mondo materiale che è il nodo centrale delle nostre esistenze. A Langone un solo appunto: il suo sens of humor è decisamente british, in odore di protestantesimo. Attenzione!

Il Palio di Siena


Domenica 16 agosto ho fatto un viaggio con la macchina del tempo. Quando sono sceso ero in una piccola cappella, dentro accalcate centinaia di persone e un sacerdote davanti all’altare. Poi è entrato un uomo a cavallo, si è fatto prossimo alla sacra mensa e il prete si è avvicinato e lo ha benedetto: “Signore Gesù Cristo custodisci, proteggi e difendi dai pericoli della prossima corsa il tuo umile servo Francesco…” Quello ha serrato le redini poi si è girato ed è uscito e i fedeli dentro la chiesa , le voci rotte dall’emozione ma potenti, hanno intonato il Te Deum. Molti piangevano. Ero arrivato nel medioevo. E’ una macchina del tempo che conosco e che funziona solo due volte l’anno, la medesima destinazione. Si chiama Palio di Siena.Voi potete anche leggere tutti i libri di storia del mondo ma se volete capire e vedere il medioevo (per viverlo bisogna essere senesi) dovete venire in questa città di pazzi al Palio dell’Assunta. A dirla tutta non basta venirci, bisogna essere introdotti. Solo portati per mano come dei bambini (questa è la nostra condizione di moderni individui di fronte alla simbologia del Palio) si entra in sintonia con questi personaggi antichi che non rappresentano ma sono il medioevo. Difatti soltanto un amico ti può far scoprire questo sogno. Il mio si chiama Massimo Reale e la sua passione per cavalli e Palio di Siena lo ha portato a scrivere un libro sui fantini che si danno battaglia in Piazza del Campo. Si chiama I Trenta Assassini. Sono ricordi di Palii e fotografie, primissimi piani di questi uomini dai volti profondamente segnati, tristi e mai domi, che hanno corso e vinto il Palio. I loro nomi sono da soli letteratura: Il Bufera, Bucefalo, Il Pesse, Ragno, Marasma, Tristezza… Aceto è uno dei fantini più famosi del mondo, al secolo Andrea de Gortes è quello che ha vinto più di tutti, 14 palii , un’enormità. Massimo gli chiedeva un giorno: ”Andrea, sono trent’anni che sei a Siena eppure sei sempre solo, non hai un amico, come mai?” E lui senza un’attimo d’esitazione : “ Vedi Massimo…l’amicizia… te la può dare la tù mamma…forse.” Questi erano e sono i fantini della carriera più bella del mondo. Duri che da quanto son duri, neanche sanno di esserlo. Come i senesi, gli unici comunisti al mondo che venerano la Madonna. Gente aspra, generosa, passionale. Ricordo, prima delle ultime olimpiadi di aver visto in televisione un’intervista ad un vecchio senese:
D. Cosa ne pensa di Pierre de coubertin?
R. O chi è?
D. Un nobile francese teorizzatore del moderno spirito olimpico.
R. E cosa dice?
D. Nelle competizioni, l’importante è partecipare.
R. Per me è un bischero!
E’ necessario innanzitutto far pulizia da equivoci. Non è una corsa di cavalli. La corsa è soltanto la manifestazione terrena di ataviche pulsioni. La guerra, prima e più terribile fra tutte. Ma anche l’amore per la patria (cos’altro è la contrada?) il coraggio, la paura, la velocità, la vittoria. L’Oca contro La Torre, La Pantera contro L’Aquila, La Lupa contro L’Istrice. Nel Palio non conta solo vincere chè quasi più importante è far perdere la contrada nemica. Se non si capisce questo i fantini che alla Mossa si molestano e si parlano , promettendosi soldi e vendendosi magari al nemico, sembrano burattini privi di discernimento. Invece sono dieci assassini. La regola è una sola: vincere a qualunque costo e con qualsiasi mezzo. Come in guerra. Il Sunto, la campana sorda che suona dal mattino è la stessa che chiamava i cavalieri a difesa della repubblica senese nel 1400. Quel suono sotteso, senza che tu te ne accorga ti entra in testa e colpisce come una goccia che a poco a poco diventa una marea, un fiume di inquietudine. Quando improvvisamente tace, nella piazza scende il silenzio . E’ il momento di montare a cavallo , i fantini escono dall’entrone, il cortile del Palazzo Pubblico dove attendono l’inizio della corsa e prendono il nerbo di bue che mostrano col braccio alzato alla contrada. Sono gli attimi che precedono la battaglia, solo chi ha combattuto li conosce, qui a Siena si può viverli, toccarli, annusarli. Odorano di paura. Hanno il sapore acre della fame, della miseria; un tempo i fantini venivano da lì.
Parla Tremoto “Ero partito a tredici anni dalla Sardegna per fame. Montavo nelle corse in siepi per dodicimila cinquecento lire e in provincia, sull’asfalto, per quindicimila. Dopo il primo Palio il Capitano della Chiocciola mi diede una pacca sulla spalla e un assegno da tre milioni e mezzo. Io non ci credevo, quasi non sapevo che esistessero tanti soldi. Passai la notte seduto sul letto a fissare quel foglio di carta.”
Oggi un fantino che vince il Palio può guadagnare milioni ma l’origine è la stessa, la fame di vittoria passa ancora dal coraggio se come dicono “Il pane del Palio è duro sette croste”.
Quando cade il Canape e i cavalli partono accade qualcosa di irreale, il tempo rallenta bruscamente la sua corsa, non si ferma del tutto ma dilata e deforma la realtà come un grand’angolo. In quel limbo senza tempo gli incitamenti ,le urla di gioia e disperazione si susseguono come in un sogno dal quale si viene risvegliati ai tre spari di fine gara . Domenica ha vinto La Civetta , dopo trent’anni. Ultimo Palio vinto nel 1979.
A fine corsa mi sono precipitato per la strade della città e ho visto i contradaioli della Civetta che andavano al Duomo con il Palio vinto a ringraziare la Madonna. Piangevano tutti. C’era un omone che singhiozzava più forte , aveva sulle spalle un bambino. Si è fermato e abbracciando un amico, scosso dalle lacrime anche lui, ha detto: “ L’ultimo Palio vinto me lo ricordo in collo al mio babbo.” E’ difficile non commuoversi quando si è in mezzo a migliaia di persone che insieme piangono di gioia così sono arrivato a Porta Camollia che piangevo anch’io. Sono salito in macchina e dopo pochi chilometri sono entrato in un Mc Drive. Un doppio cheeseburger e Coca Cola consumati alla guida mi hanno dato la certezza di essere tornato nel ventunesimo secolo. Ho pensato a tutti quelli che contestano Mc Donald, un ristorante dove si mangia con 6 euro, considerandolo come emissario del male. Sono gli stessi che accusano i senesi di crudeltà verso i cavalli. A Siena i cavalli sono venerati ,considerati come persone e coccolati più di un primogenito.
Difficile del resto pensare che non ami i cavalli gente che se ne occupa per una vita, che si alza alle 4 di mattina per portarli fuori, che li lava li nutre e li fa correre. Anche in natura I cavalli i galoppano, gareggiano tra loro e ogni tanto si azzoppano. L’uomo e il cavallo hanno fatto gran parte della nostra storia. A settembre a Palio vinto, la contrada celebra la vittoria con una cena. A capotavola c’è l’ospite d’onore, che mangia su un vassoio d’argento biada e zucchero: è Il cavallo vincitore. Non è amore questo? Strano mondo il nostro. Uccidiamo milioni di bambini prima che nascano e facciamo la morale a chi fa correre i cavalli. Sì è vero nel Palio c’è violenza , c’è la tragica bellezza della guerra e del coraggio ma non sono anche queste caratteristiche umane? Forse fra mille anni quando nessuno al mondo userà più violenza contro un suo simile, le persone ameranno il loro prossimo come se stesse e non ci saranno più armi , anche allora in quell’eden (ma sarebbe poi tale?), il Palio di Siena servirà a ricordare a tutti com’era la vita sulla terra quando gli uomini combattevano.