lunedì 14 settembre 2009

Karajan vent'anni dopo

C’era un tempo in cui la musica era con Dio. Era una stagione , nella quale l’arte non si poneva in opposizione (se non dialettica) ai valori morali condivisi dal consesso civile, e non era quindi costretta a cantare unicamente l’angoscia. Questo era stata la musica occidentale dal XVI secolo sino all’alba del novecento, il momento della grande frattura. Da arte ancella, della poesia, della danza , del teatro, a linguaggio autonomo, di pari dignità , perfino in grado di raggiungere zone dell’animo, precluse alle altre. All’ arte direttoriale fu necessario un altro mezzo secolo , a far decantare quel materiale immateriale costituito dall ’immenso patrimonio musicale lasciatoci dai geni che il buon Dio disseminava sulla terra in epoche antiche (nel 1685 ne nacquero addirittura due , Handel e Bach, buona annata). Quella stagione estiva è passata e ora che l’inverno del nostro scontento (musicale) fa sentire il suo morso , avvertiamo quanto ci manca Herbert von Karajan. Venti anni senza di lui , il sedici luglio del 1989 Das Wunder Karajan (questo il primo grande titolo di giornale che nel 1938 ne salutò il debutto) terminava il suo passaggio su questa terra per trasferire la sua anima altrove, laddove secondo lui stesso (ed io gli do ragione) proviene quella musica che per tutta la sua vita (pur con qualche indulgenza verso il culto di se stesso) aveva fedelmente servito. “Mi sembra che la musica venga da un altro mondo.” “Hai ragione , viene da un altro mondo, viene dall’eternità. Così il maestro nato a Salisburgo l’otto di aprile del 1908 in un dialogo con Harry Osborne , suo biografo ufficiale, in un libro di conversazioni precedente al “vangelo” dei karajaniani : Herbert von Karajan A life in music , biografia esaustiva ed appassionata mai tradotta in italiano (ma non c’è da stupirsi essendo la Italia la pubblicazione musicale vicina allo zero). Ma il libro è del 98 dunque nove anni anni dopo la scomparsa , mentre come spesso accade ai grandi, quella morte e ciò che essa ha significato per la tradizione musicale non fu immediatamente compreso. Egli si è detto, con la sua morte chiudeva un epoca aurea . Ma con la sua vita ne aveva aperta un’altra. La nostra .Oggi, nel 2009, la figura di Karajan appare come la summa di 500 anni di musica occidentale pur contenendo già in sè , l’intuizione geniale delle nuove prospettive mediatiche, tecnologiche, che si aprivano allora e di cui oggi tutti si cibano avidamente. In questo fu un genio con cinquant’anni di anticipo. E non solo per l’attenzione alle tecnologie discografiche , ma per quella volontà di ricerca che, seppur tendendovi , esulava dal campo prettamente musicale e che, ad esempio, si manifestò al momento della scelta dei progetti presentati alla gara indetta per la costruzione della nuova sala dei Berliner Philarmoniker nel 1956. Hans Scharoun , genio di quell’architettura organica che ebbe in Frank Lloyd Wright il suo maggiore esponente, attraverso quella sala con l’orchestra posta al centro indicò una via che avrebbe fatto scuola. Karajan lo capì . Ecco cosa scriveva :” …di tutti i progetti presentati, uno sembra ergersi sopra gli altri… per molti aspetti ma il più impressionante è la concentrazione totale degli ascoltatori sull’evento musicale…lo stile musicale dei Berliner Philarmoniker , la cui caratteristica principale è il respiro speciale all’inizio ed alla fine della frase musicale…”
Il respiro, questo era il lirismo di Karajan, il suo canto era naturale come il respiro. Il suo gesto direttoriale rimane a tutt’oggi come un unico ed irripetibile miracolo così come il suono che quel gesto faceva sortire. Cos’hanno di speciale gli attacchi di Karajan? Con lui la musica non iniziava, non si aveva la sensazione che qualcuno cominciasse a suonare, piuttosto l’impressione era quella di un suono già esistente che improvvisamente veniva a noi, ci si rivelava. E’ ciò che durante una prova Carlos Kleiber (suo devoto ammiratore per tutta la vita) cerca di far intendere all’orchestra dicendo ai violini:” Lasciate che sia il vostro vicino a cominciare”. Quel lirismo che ha in Wagner e Strauss i suoi autori di riferimento: semplicemente prima di lui nessuno li suonava così e dopo di lui tutti ci hanno provato. Ma anche Beethoven, Brahms Bruckner . Inoltre egli uscì dal germanesimo che pure lo aveva generato per rivolgersi all’opera italiana, con risultati non meno che eccelsi, il suo Verdi o il suo Puccini (per me Otello e Boheme su tutti) restano ad imperitura memoria insuperati ancora oggi. Una curiosità poi è legata ad una delle sue incisioni più memorabili, la Carmen di Georges Bizet con una ipnotica Leontyne Price. Durante la registrazione del disco giunse la notizia dell’assassinio del presidente Kennedy e la Price, statunitense e nera ne fu così turbata che il produttore voleva concedere un paio di giorni di pausa alla sessione d’incisione. Karajan riuscì a convincere la Price che cantò così la famosa scena delle carte (in cui pesca la morte) poche ore dopo la notizia. Il risultato è sconvolgente. Questo cinismo seppur volto a scopi sempre musicali è fatto della stessa materia di cui parla Isaiah Berlin che lo definì “Un genio con una spruzzata di zolfo intorno” , riferendosi alla sua appartenenza al partito nazista fino al 1945, ma Karajan pur di dirigere avrebbe preso anche la tessera dell’inferno . D’altra parte sposò un’ebrea nel 1942, Anita Gueterman, segno evidente che di ideologico in quella adesione ci fu poco. La politica del resto non entrò mai nella sua vita la quale fu volta esclusivamente alla musica, nella sua totalità.
“La pasta, la pasta di cui era fatto quel suono che i Berliner avevano raggiunto con lui non c’è più e non solo nei Berliner ma da nessun altra parte al mondo. “ Questo mi racconta Umberto Nicoletti Altimari, della direzione artistica dell’Accademia di S. Cecilia nonché vera autorità italiana sul pianeta Karajan . “Cosa ho di lui? E’ Semplice. Tutto. “ Se volete saper qualcosa su Karajan chiedete a quest’uomo la cui devozione al Maestro (posso dirlo vantando un’amicizia quarantennale) è stata una malattia cronica e manifestatasi in giovanissima età. “ Michel Glotz , un uomo che dedicò parte della sua vita a Karajan, lo definì cosiì “Un bambino ed un vecchio cinese molto saggio questa era la straordinaria combinazione che fu Herbert von Karajan“.
In anni in cui non si parlava ancora di civiltà dell’immagine lui costruiva la propria. Quella di un perfezionist a in tutto ciò che faceva. Da qui anche un’iconografia che può far sorridere, pilota d’aereo, di macchine da corsa, sciatore, al timone del suo Yacht Helisara ( Herbert, Eliette, Isabel, Arabel ), sì che ci si chiedeva dove trovasse il tempo di dedicarsi a tutte queste attività un uomo che fu contemporaneamente direttore dei Berliner, della Wiener Staatsoper nello stesso anno in cui allestiva al Teatro alla Scala altre due grandi produzioni . E’ di quegli anni questa storiella: Karajan sale su un taxi, il tassista:” Dove la porto?” “ Karajan:” Mi porti dove vuole tanto mi vogliono tutti.”



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