lunedì 12 ottobre 2009

Pellèas e Mèlisande


“La natura è un tempio in cui dei vivi pilastri lasciano talvolta uscire confuse parole; l’uomo vi passa attraverso foreste di simboli che lo osservano con sguardi familiari. Come lunghi echi che di lontano si confondono in una tenebrosa e profonda unità, vasta come la notte e la luce, i profumi , i colori e i suoni si rispondono.” Inizia così il sonetto “Correspondances” nel quale Charles Baudelaire (1821-1867) fissa quello che può essere considerato il manifesto del simbolismo poetico francese di cui Claude Debussy (1862-1918), mettendo in musica il dramma del belga Maurice Maeterlinck “Pelléas e Mélisande”, fece proprie le istanze seppur adeguandole alla propria originale e per molti versi sovvertitrice poetica. Dieci anni di lavoro non privi di aspri dissensi con il drammaturgo belga portarono nel 1902 ad una prima esecuzione accolta piuttosto freddamente dal pubblico dell’Opera di Parigi. Fu soltanto qualche anno dopo che l’opera si affermò per quel capolavoro che è senza tuttavia mai raggiungere la popolarità di una Carmen o di un Verdi qualsiasi. Non è un caso del resto perché di opera assai complessa si tratta sia nella messa in scena che dal punto di vista musicale. L’orchestra di Debussy è volta alla cristallizzazione dell’attimo così come l’impressionismo nella pittura (l’altra corrente artistica che influenzò il musicista francese), un’arte quindi attenta alla ricerca della bellezza avulsa da qualsiasi dialettica e tesa all’isolamento della singola illuminazione. In questo egli può essere davvero considerato il fondatore del novecento musicale. Il germe di quella contrazione linguistica che culminerà nelle scariche elettriche fulminanti dei pezzi per pianoforte di Anton Webern e Arnold Schönberg, è qui già latente.
E’ evidente che una musica siffatta fosse quanto di più distante si potesse immaginare dall’opera che è costituita al contrario di azione, declamazione , assertività. Per questo quando Debussy vide Pelléas e Mélisande ne rimase profondamente turbato e comprese che quella poteva essere la storia adatta al teatro musicale che aveva in mente, costruito su un gioco di rimandi, dove il non detto è di gran lunga più importante di quel che avviene sulla scena. L’amore tra i due protagonisti infatti non è dichiarato che un attimo prima della catastrofe, quando Golaud scopre ed uccide il fratello Pelléas e sfiora appena la consorte Mélisande la quale morrà lo stesso, come un uccellino che, incapace di volare, si spenga mestamente. Gianluigi Gelmetti ha dato l’impressione di possedere completamente quest’opera ed assecondato da un compagnia di cantanti ineccepibile anche attorialmente, ha diretto da par suo l’orchestra dell’Opera di Roma in grande forma che ha restituito con veridicità il tessuto sottile della partitura. Bene quindi la parte musicale che, come non si ripeterà mai abbastanza, è quella principale nell’opera che anzitutto di note è fatta. Ma il teatro è anche regia, costumi, scene e qui bisogna aprire un discorso diverso. Come mai nell’epoca della filologia, della prassi esecutiva, dell’attenzione maniacale alle minime notazioni musicali degli autori si accompagna invece il totale stravolgimento dei libretti? E dire che “Pelleas e Melisande” , libretto nel senso stretto del termine non è, perché Debussy volle mettere in musica l’intero dramma di Maeterlinck ( e così fece salvo qualche taglio ) quindi far carne di porco delle indicazioni sceniche vuol dire venir meno infischiandosene, degli intendimenti di due autori. Arkel è il re di Allemonde e Golaud e Pelleas sono due principi. Perché vestirli di stracci con le infradito ai piedi rendendoli tre barboni? E perché in luogo del castello dove vivono troviamo un utero sezionato? Ed ancora perché fare di Melisande (una bravissima Monica Bacelli)una specie di Pierrot Lunaire espressionista, calva per giunta laddove non si fa altro nell’opera che esaltarne le chiome fluenti? Ce lo fate vedere signori registi, scenografi e costumisti (stracciaroli) moderni, un re vestito da re con la corona in testa o siete troppo preoccupati di vendere un prodotto che faccia parlare di voi piuttosto che servire quegli autori che, volenti o nolenti, sono quelli che vi danno da mangiare? The answer my friends is blowin’in the wind….

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